Ecco venire uno dei capi della sinagoga, chiamato Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregò con insistenza, dicendo: «La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani su di lei, affinché sia salva e viva». (...) Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni (...) avendo udito parlare di Gesù, venne dietro tra la folla e gli toccò la veste, perché diceva: «Se riesco a toccare almeno le sue vesti, sarò salva». In quell'istante la sua emorragia ristagnò; ed ella sentì nel suo corpo di essere guarita da quella malattia. (...) Gesù le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata; va' in pace e sii guarita dal tuo male». Mentre egli parlava ancora, vennero dalla casa del capo della sinagoga, dicendo: «Tua figlia è morta; perché incomodare ancora il Maestro?» Ma Gesù, udito quel che si diceva, disse al capo della sinagoga: «Non temere; soltanto continua ad aver fede!» (da Marco5,22-36)

 

Care sorelle e cari fratelli,

Giàiro chiede a Gesù di posare la sua mano sulla figlia affinché non muoia; la donna malata di perdite di sangue tocca con la sua mano la veste di Gesù per essere guarita. Potremmo pensare che quelle mani fossero viste solo in forma miracolosa o magica: in effetti Marco ci descrive dei miracoli, però non si ferma “alle mani”, ma le fa precedere dalla fede di chi è sofferente o di chi è angosciato per una morte imminente. “Figlia mia, la tua fede ti ha salvata” dice Gesù alla donna, “Non temere, soltanto continua ad avere fiducia” dice similmente a Giàiro. Oggi tutte le nostre chiese, sia pur con le differenze teologiche intorno alle dinamiche dei miracoli, sono d’accordo sul fatto che la mano di Dio non è la mano di un mago che compie prodigi su richiesta, ma è la mano di un amore che si lascia coinvolgere e commuovere dalla fede e dalla fiducia di chi invoca un segno, una guarigione, un miracolo. E in fondo, in un contesto ecumenico, ciò che ci unisce è la nostra comune fede in Gesù Cristo. Restando in chiave ecumenica, due aspetti sono significativi in questo testo.

Il primo aspetto è che nel vangelo di Marco questo è il racconto della guarigione o risurrezione della figlia di Giàiro: la donna che perde sangue e che tocca la veste di Gesù è un imprevisto nel cammino di Gesù verso la casa di Giàiro, o come dicono i biblisti e i letterati, è una sezione narrativa inserita in una cornice più ampia. Eppure anche questo imprevisto è l’occasione per annunciare la forza della fede di una donna e la potenza miracolosa del Figlio di Dio. Anche le nostre divisioni sono state degli imprevisti nel contesto più ampio della storia del cristianesimo, spesso accolte con violenza, con pregiudizio, persino con guerre e persecuzioni. Oggi stiamo già vivendo l’opportunità di sfruttare questi imprevisti come occasione di fraternità, di dialogo, di preghiera comune. Una buona notizia che ci viene da questo episodio è appunto questa: la possibilità di poter conoscerci e apprezzarci nonostante l’imprevisto delle nostre divisioni, anzi, arricchiti dalle nostre differenze, e non solo da ciò che ci unisce.

E qui vengo al secondo aspetto: la donna che perde sangue esprime molta timidezza nel toccare con mano la veste di Gesù. Forse si vergogna della sua malattia, che per la legge la rendeva impura; forse è spaventata dalla fama di Gesù, o dalla folla che la circonda tutto intorno. Con timidezza tocca la veste di Gesù, e lui se ne accorge, restando stupito ma ignaro di chi l’avesse toccato. Anche tra cristiani ancora oggi siamo un po’ titubanti nel toccare con mano le altre chiese per conoscerle, per sentire la loro storia, per capire le differenze e come la pensiamo su vari argomenti. Abbiamo quasi paura di toccare con mano gli altri cristiani diversi da noi come se ci si potesse contaminare, perdendo qualcosa della nostra identità, o essere dei strani membri della nostra chiesa perché interessarsi delle altre sarebbe come tradirla. E invece ci viene offerta l’occasione di pregare insieme, di conoscerci insieme, e soprattutto di presentarci al mondo semplicemente come “i cristiani, le cristiane” al di là delle nostre differenze teologiche e storiche. La paura e la vergogna della donna vengono vinte dallo sguardo e dalle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvata.

Quelle stesse parole sono rivolte a noi: è la nostra comune fede in Cristo a salvarci, e questa nostra fede ci fa riconoscere i segni della mano di Dio in favore dell’umanità di oggi. Ma quella fede potrebbe crescere ancora se anche le nostre mani si toccassero fraternamente oltre i pregiudizi e le paure, senza vergogna, senza timore di contaminarci ma anzi, stringendo le nostre mani come quando conosciamo per la prima volta qualcuno: ci presentiamo, ci raccontiamo le nostre storie, ci arricchiamo di una nuova amicizia. E insieme, diversi ma uniti, annunciamo al mondo che Cristo è il centro e il senso della nostra fede e della nostra vita. Amen.

Stefano Giannatempo

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