Tu sei per me come un miraggio, come acque in cui non si può aver fiducia(Geremia 15,18)

 

 

Care sorelle e cari fratelli,

che affermazione forte, che immagine. Dice un canto del nostro innario: “Come cerva che assetata brama l’acqua di un ruscel “ così l’animo di un profeta brama e anela a dissetarsi sempre alla fonte della parola di Dio. Ma questa fonte è illusoria, appare e scompare, l’acqua fresca e dissetante, l’acqua che dà nuovamente vita si squaglia alla luce del sole e diventa soltanto illusione ottica. Quando le mani si uniscono a raccogliere l’acqua rimane solo sabbia arroventata, la sabbia del deserto in cui non c’è vita alcuna.

L’immagine è vivida, l’immagine di una delusione immensa di una speranza infranta, il grido di chi ha sperato nella vita e si trova rigettato nella morte. Questo sei TU o Dio. Questo il grido di Geremia il profeta nel deserto della sua disperazione. Non sei realtà ma un miraggio o Dio. Non sei roccia, non sei un saldo rifugio ma sei qualcosa di evanescente, qualche cosa di cui non ci si può fidare, che non può cambiare la realtà e la storia degli uomini. Non è solo inutile un miraggio ma è dannoso perché taglia le gambe alla speranza che ci ha sorretto fino a quel momento.

Molto meglio non credere in un Dio così. Un invito all’ateismo. Ma Geremia non si può concedere un totale abbandono a questa filosofia del nulla una filosofia triste certo ma magari tranquillizzante.  Ha di fronte un miraggio, ma da questo miraggio non sa liberarsi. Il Dio che qui Geremia sperimenta come assente ed illusorio è lo stesso Dio che non può evitare, al quale non può sottrarsi.

Per arrivare a comprendere la sofferenza di Geremia dobbiamo tenere conto di alcuni fattori. Non si tratta di una sofferenza generica dovuta a cause imponderabili come la malattia o una catastrofe naturale. La sofferenza di Geremia è invece una sofferenza a motivo di Dio. Geremia si sente come l’amante che una volta sedotto e pronto a dedicare la vita alla persona amata si sente abbandonato e reietto. Geremia ha abbandonato tutto, le proprie sicurezze la propria vita ritirata egli ha scommesso tutto su Dio. E ora questo Dio si rivela con le fattezze illusorie di un miraggio? Prima Dio lo trascina con sé poi lo abbandona.

Forse possiamo comprendere più facilmente la sofferenza di Giobbe perché è sofferenza pura e semplice, l’assurdo che entra nella vita degli uomini di noi uomini, una malattia una scomparsa un abbandono. Ma chi di noi può dire di aver scommesso tutta la sua vita su Dio e esserne rimasto deluso? Chi di noi può dire di avere abbandonato tutto, sicurezze, certezze, lavoro, affetti, per dedicarsi a questo amante inaffidabile e illusorio?

Dio non è il tutto della nostra vita ma solo un pezzo di essa, un componente della vita per alcuni molto importante per altri meno. Ma possiamo veramente dire che Dio è per noi il corso d’acqua da cui dipende la vita? Ognuno di noi ha molte cose a cui aggrapparsi per non sentirsi scivolare via, il lavoro, la sicurezza affettiva, le amicizie. Questo è l’abisso che ci separa dalla esperienza di Geremia.

Chi sono i nemici contro i quali Geremia si appella a Dio? Sono gli uomini della religione quelli del tempio che si ribellano alle profezie fosche di Geremia. Lo accusano di non credere perché essi ripetono che tutto va bene che il tempio dell’Eterno li salverà dalle sciagure. Geremia secondo questi uomini ha poca fede nell’Eterno e nel tempio. Sembrano dire: fratelli animo, in alto i cuori innalzate una lode al Signore e niente ci succederà.

La Bibbia ci porta dentro una situazione paradossale: il profeta dell’Eterno, colui che a Dio ha consacrato la sua esistenza, che guarda a Dio come ad un miraggio ad un’illusione di salvezza e i suoi nemici che pronunciano parole di saggezza e pia religiosità. Un paradosso frequente nella scrittura.

Ma dove sta il centro di questo paradosso? Naturalmente sta proprio in Dio stesso. Il Dio degli avversari religiosi di Geremia è il Dio imparato a scuola nel Tempio, quello di cui hanno sempre sentito parlare, che non hanno mai vissuto appieno, il Dio della vita tranquilla, il Dio di cui sentono il bisogno per affermare che tutto andrà bene che tutto procede, non il Dio del coraggio il Dio delle scelte, il Dio che sorprende e cambia il corso della storia quando meno te lo aspetti.

Geremia invece si lancia e si lascia trasportare in una personale avventura da un Dio non imparato ma conosciuto personalmente, potremo dire sperimentato, scoperto giorno dopo giorno quando la tradizione i canti e la nostra religione cedono il passo e restiamo soli con Lui. Ecco l’esperienza fondante di Geremia: lui e Dio soli, uno di fronte all’altro. Non ci sono sicurezze in questo incontro non ci sono dottrine, non ci sono le parole della fede imparate a memoria, nulla di ciò che sappiamo o abbiamo imparato serve più. E, nella disperazione, la fede può arrivare a far pronunciare le parole di Geremia: Tu sei come un miraggio.

Ma proprio in questo rivolgersi a Lui con l’accusa di averlo abbandonato sta la fede di Geremia. Geremia ha preso sul serio Dio, ha lasciato tutto e questo non gli fa sentire il cuore in pace, mai. La Bibbia e le sue citazioni diventano un atto di accusa contro Dio, non il sedativo che può calmarlo.

Anche noi siamo chiamati a riflettere su questo passo, noi che siamo lontani, lontanissimi dall’esperienza di Geremia e forse possiamo unirci a lui nel lasciare da parte questo Dio delle frasi fatte questa storia di fede che come in tutti film che si rispettano finisce bene, con canti e recite di salmi. Al contrario, il libro di Geremia, e questo racconto in particolare, sono salmi che non finiscono in gloria ma lasciano aperti paradossi, punti interrogativi e anche sofferenza che ci portano in una dimensione di fede che può essere accolta solo se sperimentata e vissuta. Questa è la dimensione del rapporto con un Dio che vuole cambiare la storia, una dimensione imprevedibile a volte incerta a volte confusa. Capire quanto scandalosa e piena di contraddizione sia stata la vita di Gesù ci può far conoscere qualche cosa di più di questo miraggio e ci può aprire davvero all’incontro con la nuova realtà di Dio.

Amen.

Alessandro Strambi

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