Venuto Gesù Cristo, sommo sacerdote dei futuri beni, egli, attraverso un
tabernacolo più grande e più perfetto, non fatto da mano d'uomo, cioè non
di questa creazione, è entrato una volta per sempre nel luogo santissimo,
non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue.
Così ci ha acquistato una redenzione eterna.
(Ebrei 9,11-12)

 

Care sorelle e cari fratelli,

l'immagine fondamentale che la Lettera agli ebrei utilizza per descrivere la salvezza che Gesù Cristo ha operato per noi è quella del sommo sacerdote: come il sommo sacerdote rappresentava il popolo davanti a Dio e Dio davanti al popolo, così Gesù Cristo è il mediatore tra Dio è l'umanità intera. Ma c'è di più: Gesù Cristo è anche la vittima sacrificale, unisce in sé il ruolo di colui che celebra il sacrificio e di colui che viene immolato. Il sangue di Gesù Cristo è stato versato sull'”altare” del Golgota per purificarci, una volta per tutte, dal nostro peccato. Cioè, Dio si è riconciliato con l'umanità versando il sangue di suo figlio – il proprio sangue.

Ora la domanda è: cosa ha sacrificato di sé Dio sulla croce di Cristo in favore della relazione con noi? Azzarderò qualche risposta. Sul Golgota Dio ha sacrificato il proprio bisogno di sacrifici. Sia di sacrifici cultuali, compiuti dai sacerdoti sull'altare, sia di sacrifici ordinari, compiuti dalle persone nella propria esistenza. Dio sacrifica il proprio lato esigente, che in nome di principi giusti e veri non si ferma di fronte a richieste cruente (vedi numerosi comandamenti nella Scrittura che chiedono punizioni cruente e anche la morte del colpevole). Dio sacrifica quella distanza dalle proprie creature che lo porta ad agire con freddezza, che gli impedisce di provare empatia per loro. Sulla croce dl Golgota Dio rinuncia a quella giustizia che pretende dalle creature una coerenza inumana o una forza sovrumana, quella giustizia implacabile che le inchioda alle loro colpe.

Ora, però, a questa importante parte di sé Dio non può semplicemente rinunciare. Un cambiamento così profondo non può che essere l'effetto di un'esperienza stravolgente: Dio decide di rivolgere contro se stesso quelle esigenze forti, dure, radicali che aveva rivolto al suo popolo, e lo fa nella forma più cruenta, versando il sangue di suo Figlio – il proprio sangue – nel sacrificio della croce. Un'esperienza talmente stravolgente che Dio non potrà mai dimenticarla. Anche perché questa esperienza lascia una traccia di dolore, nell'esistenza di Dio, e anche in quella umana. Perché rinunciando a al bisogno di imporre la propria giustizia, Dio ha deciso di tollerare, almeno in parte, l'ingiustizia umana. E l'ingiustizia fa male. Uccide, violenta, traumatizza, toglie la speranza agli esseri umani. E di conseguenza colpisce, ferisce, lacera Dio stesso, che empatizza con le sue creature.

Col sacrificio di suo Figlio sulla croce Dio cessa di chiedere tributi di sangue. Ma contemporaneamente si ritrova a dover sopportare interminabili spargimenti di sangue provocati dall'ingiustizia umana. Noi siamo riconciliati con Dio grazie alla croce di Gesù Cristo, ma non si tratta di una riconciliazione incruenta. Pienamente immersi in questa vita segnata dal dolore ma anche accompagnata dall'empatia, dalla solidarietà, dalla vicinanza di Dio, noi conduciamo la nostra esistenza tragica, e vi troviamo un senso, grazie alla speranza nella promesse di Dio.

Amen.

Daniele Bouchard

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