Il Dio che dilata il nostro spazio

 

 

Care sorelle e cari fratelli,

la Domenica delle Palme rileggeremo la storia dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Egli entra su un asino, la bestia cavalcata da chi lavora nei campi, ma è acclamato come re, come il Messia atteso. Tutto avrebbe dovuto cambiare e invece nulla cambiò.

La città avrebbe dovuto dilatare lo spazio della sua organizzazione religiosa: le autorità del Tempio avrebbero dovuto spalancare le porte e lasciarsi cambiare dal Messia. Invece difesero il loro spazio religioso e coinvolsero i romani nella repressione.

Quando Dio visita il suo popolo niente può rimanere uguale a prima. Questo messaggio corre lungo la Bibbia. Lo troviamo ad esempio nel Salmo 24. “O porte alzate i vostri frontoni ed il Re di gloria entrerà”. Nella liturgia del Tempio di Gerusalemme si sottolinea che il Dio che entra nel Tempio non vi è contenuto, perché è il Signore di tutto il mondo. “Al Signore appartiene la terra e tutto quello che è in essa, il mondo e i suoi abitanti” (Salmo 24,1). Il Tempio si deve come dilatare, modificare le sue porte.

Secondo il salmo cambia anche l’accesso delle persone: non coloro che sono formalmente abilitati a partecipare alla liturgia, ma l’essere umano accurato nelle sue relazioni con il prossimo, rispettoso della via che Dio ha tracciato nella sua Parola (Salmo 24,4). La liturgia del Tempio è dunque possibile perché il suo spazio si dilata e il Signore del cosmo entra nel suo spazio delimitato.

Dio si muove verso i nostri spazi circoscritti, delimitati da frontiere ed essi devono necessariamente cambiare, aprirsi. Il nostro Dio non può essere contenuto da un territorio, da una tradizione, non è il mio Dio, senza essere il Dio che ha cura di tutti gli abitanti della terra. Non è il Dio di uno Stato, di una religione di Stato.

E’ il Dio presente in e per ogni terra. Con questa motivazione, tra le altre, i valdesi, nel medioevo negavano la legittimità delle crociate contro i saraceni per liberare la “terra santa”. Non c’è terra santa da liberare con le armi, essi sostenevano, perché ogni lembo di terra è santo, cioè pieno della presenza di Dio. Tutti possiamo apprezzare questa posizione radicalmente nonviolenta e biblicamente motivata, in un’epoca in cui partecipare alla crociata era considerato un atto cristiano meritorio e non partecipare, un errore da
eretici.

Oggi siamo orgogliosi di questa posizione. Cambiano i tempi, ma la difesa del proprio spazio e della propria frontiera continua a interrogarci. Ogni volta che si entra nella mentalità della difesa, si entra per così dire, in una logica armata. Ci saranno i guardiani dello spazio territoriale e delle sue tradizioni, in carne ed ossa o morali. La tradizione e la paura rischiano di portarci su terreni avvelenati. A Gerusalemme Gesù Cristo ha fatto paura anche come sovvertitore della tradizione religiosa. Per noi può essere un minareto, o una moschea, la chiamata a fare spazio alla libertà di altri e altre, condividere con altri e altre la libertà di cui già godiamo noi.

I valdesi medioevali vedevano ebrei e musulmani non come nemici da eliminare. Anzi, ne riconoscevano la parentela umana e di fede: gli ebrei, coloro che hanno portato i libri (antico testamento) e i musulmani che, nella loro pratica di togliersi le scarpe nel luogo di preghiera, mostravano rispetto per quei luoghi considerati solo cristiani come il Santo sepolcro.

Motivazioni ingenue? Piuttosto una lettura seria della Buibbia che ci annuncia che a Dio appartiene tutta la terra e i suoi abitanti, che si afferma liberandosi e liberandoci dagli spazi angusti e controllabili in cui ci muoviamo.

Viviamo mesi difficili: sembra che tutto stia andando storto. Il terremoto e lo tsunami in Giappone, l’incidente nucleare a Fukushima, le rivolte in Nord Africa e in Medio Oriente, la guerra in Libia, la Costa d’Avorio e perfino attentati in casa nostra (Livorno) oltre che in Afghanistan, le migrazioni a Lampedusa. Ci vuole molta preghiera e coraggio. Ma questo coraggio ci viene da Dio che come entrò a Gerusalemme, entra nelle nostre vite e vuole trasformarle, da vite timorose e spaventate, sulla difensiva, a vite fiduciose e piene di speranza in Lui. Lo stesso Dio che nemmeno la morte poté trattenere, ma che nella resurrezione del suo Figlio, ci dà un nuovo orizzonte.

Erika Tomassone
 

 

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