Dio ha tanto amato il mondo,
che ha dato il suo unigenito Figlio,
affinché chiunque crede in lui non perisca,
ma abbia vita eterna.

Giovanni 3:16

 

 

Care sorelle, cari fratelli,

 

i cattolici hanno in casa madonnine e crocifissi, nelle case degli evangelici ci sono spesso versetti biblici, che ornano le pareti delle stanze. Uno dei versetti più gettonati è senz’altro: “Dio è amore”, la formula in cui la I Lettera di Giovanni concentra il discorso su Dio.

 

Ma il discorso del racconto biblico è più complicato. Ne sono testimoni le non poche persone che inciampano sul Dio, raccontato in alcune pagine della Scrittura ebraica, che è tutt’altro che amore, anzi, un Dio irascibile, duro, implacabile nella sua richiesta di ubbidienza e giustizia, nella sua coerenza. Certo, se facessimo il calcolo e detraessimo dall’amore di Dio la sua ira, cioè il suo non-amore per noi esseri umani, alla fine rimarrebbe sempre ancora un’enorme quantità di amore. Ma la fede non è una questione di calcolo di questo genere.

 

La fede raccontata nelle pagine della Bibbia è l’esperienza che la misericordia di Dio vince la sua giusta ira. Dio non è semplicemente amore, ma amore che vince la sua giusta ira. Il racconto biblico è il rapporto conflittuale tra Dio e essere umano, è la dialettica in Dio stesso tra ira e amore, in cui vince l’amore, e non come risultato scontato, ma come esito di un conflitto doloroso di Dio con se stesso, come risultato sempre nuovo e sorprendente.

 

E questo conflitto non viene risolto in Dio, ma visto che è il conflitto con la creatura, coinvolge la creazione, coinvolge l’esistenza degli esseri umani, coinvolge la storia. Il popolo d’Israele ha interpretato ad es. la distruzione di Gerusalemme e l’esilio della sua popolazione in Babilonia come conseguenza dell’ira di Dio, come punizione, come abbandono da parte di Dio, e non semplicemente come una sconfitta politica. Sentirsi oggetto dell’ira di Dio, ha dato agli ebrei esiliati la possibilità di rimanere in relazione con il loro Dio. Dio è arrabbiato con noi, nella sua ira ci nasconde il suo volto, ma finché Dio è arrabbiato con noi, non è indifferente nei nostri confronti. Finché è arrabbiato, c’è speranza. La sua ira può placarsi, il suo amore, che noi abbiamo sperimentato molte volte, può prendere nuovamente il sopravvento e vincere la sua ira.   

 

Fino a dove si sia spinto l’amore di Dio che vince la sua giusta ira, è il tema del periodo liturgico che stiamo vivendo: la passione di Cristo. Nella croce di Gesù Cristo, nel Figlio che muore abbandonato dal suo Dio e Padre, Dio ha preso su di sé le conseguenze della sua ira, affinché non ricadano più su di noi. Riflettendo sulla croce di Cristo, noi dovremmo tremare per le terribili conseguenze dell’ira di Dio che si sono abbattute su Gesù Cristo, e al tempo stesso dovremmo essere sollevati e pieni di riconoscenza, che Dio, nella sua misericordia, ci ha risparmiato. Penso che anche noi cristiani faremmo bene a non appiattire Dio a semplice amore, ma a ricordarci che anche per noi Dio è l’amore che vince la sua giusta ira. Questa è una chiave di lettura della morte e della risurrezione di Gesù Cristo.

 

Klaus Langeneck

 
 

 

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