Ottobre 2013

Condussero da Gesù un sordo che parlava a stento
e lo pregarono che gli imponesse le mani.
Egli lo condusse fuori dalla folla, in disparte, gli mise le dita negli orecchi,
e con la saliva gli toccò la lingua;
poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: “Effatà!”
che vuol dire: “Apriti!”
E gli si aprirono gli orecchi e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene.

(Marco 7,32-35)

 

Care sorelle e cari fratelli,

con quale dei personaggi di questa storia ci possiamo identificare? Probabilmente ci viene più facile  identificarci con la gente, che è veloce a decidere chi è il malato, di quale male soffre e di quale cura ha bisogno. Ma in realtà, loro che pure odono, non ascoltano e, pur parlando, non dicono le cose vere, importanti. Quando l'ex sordomuto comincia a parlare correntemente, invece di ascoltare le molte cose che avrà certamente avuto da raccontare, ora che finalmente poteva esprimersi con facilità, corrono a gridare al miracolo, e non ascoltano nemmeno Gesù che ordina loro insistentemente di non parare in giro dell'accaduto. Di conseguenza, le cose che raccontano non saranno che grida sensazionalistiche, che non potranno esprimere ciò che veramente è accaduto. La gente non ha veramente incontrato Gesù, perché non ha riconosciuto di avere bisogno di qualcosa, ha preferito vedere i problemi di un altro piuttosto che i propri. Come noi quando chiediamo a Dio aiuto per gli altri, senza aver ascoltato né gli interessati né noi stessi.

Ma possiamo anche identificarci con l'uomo sordomuto (o balbuziente). Anche se le nostre orecchie funzionano, tutti soffriamo di un disturbo dell'ascolto; anche se sappiamo profferire parole, fatichiamo a dire le cose più vere e più profonde. Come quell'uomo, a volte ci rendiamo conto che questo è un problema, riconosciamo che se non riusciamo a dire è perché non sappiamo ascoltare; come l'uomo del racconto, a volte sappiamo affidarci al Signore che si prende cura di noi. E il Signore, che soffre a vederci colpiti da questa devastante malattia – dell'individuo e della società – che è l'incapacità di comunicare, ci viene incontro. Ci chiama per un momento in disparte, in un luogo silenzioso, ci invita ad ascoltare il suo sospiro di pena per noi, ci prende la testa, ci carezza le orecchie, ci massaggia la bocca, ci abbraccia, ci scuote, ci esorta ad aprire le orecchie e il cuore, ci suggerisce che se ci lasciamo togliere i tappi invisibili che ostruiscono le nostre orecchie, il nodo che blocca la nostra lingua si scioglierà e impareremo a dire. In una parola, come avviene tra Gesù e l'uomo del racconto, il Signore viene ad incontrarci; è nell'incontro vero che il miracolo dell'ascoltarsi e del raccontarsi ha luogo. E' nell'incontro con Dio che ci è data la possibilità di imparare ad incontrare veramente il nostro prossimo.

Di fronte alla possibilità di identificarci con Gesù esitiamo comprensibilmente. Ma io credo che sia lecito e a volte molto utile. Poiché Gesù non è qui tra noi in carne ed ossa, Dio usa noi come sue mani, sue orecchie, sue bocche per interagire con gli esseri umani. Per questo ci chiama, seguendo l'esempio di Gesù, a prenderci cura del nostro prossimo, accogliendolo per quello che è, ascoltando la sua storia, sentendo le sue emozioni, imparando così a dirgli qualcosa di noi, qualcosa di vero, qualcosa che abbiamo capito grazie all'incontro con lui. Il Signore ci dà di sperimentare il miracolo: mentre si prende cura del nostro prossimo per mezzo nostro, si prende al tempo stesso cura di noi per mezzo suo. La guarigione è spesso reciproca, avviene nella relazione. Il Signore ci guarisce dall'incapacità di comunicare donandoci di vivere l'incontro vero col nostro simile.

Questo miracolo si ripete spesso, ma a intermittenza, la guarigione che ci è dato di sperimentare è provvisoria, eppure torna a ripetizione. Il Signore non ci toglie dal mondo della comunicazione superficiale, ma ci dona di sperimentare l'incontro profondo col nostro prossimo. E continuerà a farlo, fino al giorno in cui “saranno sturate le orecchie dei sordi … e la lingua del muto canterà di gioia” (Isaia 35,5-6) e noi vivremo pienamente nell'incontro vero e profondo, tra noi e con il nostro Dio.

Daniele Bouchard

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