Mangerai, in presenza del Signore tuo Dio, nel luogo che egli avrà scelto, come dimora del suo nome, la decima del tuo frumento, del tuo mosto e del tuo olio e i primi parti dei tuoi armenti e delle tue greggi, affinché tu impari a temere sempre il Signore il tuo Dio.

(Deuteronomio 14,23)

 

Care sorelle e cari fratelli

siamo invitati a una festa, a un banchetto, tutti insieme, con tante altre persone, con Dio stesso!

Questa festa, in realtà una serie concatenata di feste, serve per imparare a temere il Signore, cioè per imparare a credere in lui. Frequentando il Signore, praticando la comunione e la condivisione, rallegrandoci con i nostri famigliari e con tante altre persone, la nostra fede procede lungo il suo percorso. Questo è il centro della vita del popolo di Dio. Noi, con i secoli, non abbiamo del tutto dimenticato questo centro, ma l'abbiamo per così dire smontato a pezzi, smembrato in singole parti.

Il pezzo che conserva la maggiore somiglianza con la festa comandataci dal Deuteronomio sono le nostre àgapi. I pranzi comunitari sono dei momenti molto belli e sentiti, ma non li viviamo più come momenti centrali della nostra fede. Eppure la gioia, la condivisione prescritte dal nostro testo vi sono presenti, anche il Signore è presente, come sottolineiamo con la nostra preghiera. Il momento ha solo perso di forza a causa della sua separazione dagli altri momenti centrali per la nostra fede.

In particolare, abbiamo separato il pranzo comunitario dalla Santa Cena. In questo modo ci perdono sia l'uno che l'altra. Eppure la Santa Cena resta una forma del banchetto comandato dal Deuteronomio: “Mangerai in presenza del Signore” (“berrai” è sottinteso, visto che bisogna condividere la decima anche del mosto). Mangiare e bere in presenza del Signore è la miglior definizione del significato della Cena per noi riformati. Da cristiani, noi identifichiamo in Gesù Cristo “il luogo che Dio ha scelto come dimora del suo nome”; è infatti in Cristo, e in particolare nella sua croce, che noi incontriamo Dio celebrando la sua Cena.

Un terzo elemento del banchetto comandato dal Deuteronomio, che abbiamo separato ancor più radicalmente dagli altri due, è la colletta. Il testo dà il permesso, per ragioni pratiche, di convertire in denaro la decima dei prodotti del proprio lavoro, a condizione che questo venga utilizzato per organizzare quella festa con Dio di cui stiamo parlando (vv. 24-26). Nella nostra società l'uso del denaro è inevitabile, e non c'è nulla di male in questo, a condizione che poi ne usiamo la decima parte per partecipare alla Grande Condivisione col popolo di Dio e con il Signore. Abbiamo allontanato la colletta dal pranzo, ma almeno l'abbiamo lasciata all'interno del culto: quando raccogliamo la parte in denaro della nostra condivisione lo facciamo esplicitamente alla presenza del Signore.

I vv. 27-29 aggiungono un elemento: ogni tre anni la decima dev'essere destinata all'inclusione nella Grande Festa di tre categorie: i leviti, che non avendo terre loro per dedicarsi totalmente al culto possono condividere solo ciò che il resto del popolo ha condiviso con loro; gli stranieri, perché la Grande Festa dev'essere aperta anche a chi non fa parte del popolo di Dio e gli orfani e le vedove, cioè le categorie sociali più deboli. Nessuno deve restare escluso dalla Grande Condivisione. Questo pezzo l'abbiamo allontanato ancor più dagli altri, nella raccolta delle contribuzioni. Notiamo che, benché tutto questo meccanismo fosse necessario a far funzionare il culto, permettendo a leviti e sacerdoti di mantenersi, il testo non usa questo argomento per illustrare il comandamento, bensì uno più alto: la contribuzione, come la colletta, sono necessarie alla vita della chiesa innanzitutto perché, in quanto aspetti essenziali della Grande Condivisione, ci permettono di imparare a credere in Dio.

Fratelli e sorelle, siamo chiamati a festeggiare! Con le nostre famiglie, con i nostri amici, con gli altri membri di chiesa, con chi dedica la sua vita alla chiesa, con gli stranieri, con gli emarginati, e con il Signore. A questa Grande Festa siamo chiamati a dedicare il 10% delle nostre risorse: prodotti dei campi, stipendio, ma anche capacità di lavoro, tempo, competenze, emozioni, ecc. ecc. Il 10% è tanto (non è l'1%), ma non è tutto (il 100%), siamo chiamati a condividere una parte importante di ciò che abbiamo, pur mantenendo la nostra vita autonoma. Il Signore ci chiede uno sforzo, un impegno, ma ci chiede uno sforzo possibile. Una parte la daremo in denaro, una parte in tempo, una parte in capacità, ecc. ecc., a seconda di quello che abbiamo: di ciò che abbiamo in misura maggiore condivideremo una parte maggiore, ma anche di ciò che abbiamo in misura minore dobbiamo condividere una parte, in proporzione alle nostre possibilità.

Il Signore ci invita a vivere alla sua presenza, nella gioia e nella comunione. Per questo scopo dobbiamo rivalutare le varie parti nelle quali abbiamo smontato la Grande Condivisione, dobbiamo potenziarle e un po' alla volta riavvicinarle e ricomporre quell'unica Grande Festa di cui ci parla il Deuteronomio. Recupereremo così la dimensione della festa che caratterizza la vita del popolo di Dio ed avremo una serie di vantaggi pratici: ci troveremo più spesso, in numero maggiore, più soddisfatti, i bilanci quadreranno alla fine dell'anno ... Ma soprattutto impareremo a credere nel Signore il nostro Dio.

Amen.

Daniele Bouchard    

 

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