Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
(Giovanni 3:17)



Care sorelle e cari fratelli,

vorrei richiamare la vostra attenzione sul “giudicare”, abitudine che tutti abbiamo e che riguarda ogni frammento di attività umana. Prendo spunto per questa riflessione da una persona di religione “diversa” (diversa?) che mi ha insegnato qualcosa. Ha interrotto il suo lavoro nella piccola bottega, e, cercando un minimo di privacy dietro una scatola di Amazon (la globalizzazione!), si è messo a pregare all’inizio del mese di Ramadan.

Noi continuamente emettiamo sentenze, giudizi di valore o più spesso negativi su qualsiasi attività umana dall’amore tra le persone ai comportamenti più vari. In qualche caso il giudicare significa creare autentici pregiudizi che spesso estendiamo a intere categorie di persone, o ad una razza, o ad una categoria di lavoratori; come Cristiani, ci viene più volte indicato di astenerci dal giudicare, ed è chiaro, dal momento che siamo creati uguali, come nessuno di noi abbia alcun titolo per giudicare un altro essere umano. In qualche caso, poi, il giudicare implica la costruzione di categorie umane che innalzano muri veri e propri tra le persone. Se io attribuisco il rubare ad una popolazione intera, concorro alla sua segregazione o peggio. Se tutti noi vediamo il diverso come portatore di forti negatività, come azioni violente, e lo estendiamo a tutti gli appartenenti a quel gruppo contribuiamo ancora una volta alla incomprensione e alla mancata integrazione. Questo per avere una idea dei danni che possiamo produrre con il nostro giudicare; da un punto di vista spirituale ci viene chiesto espressamente di evitare questa pratica. Gesù ci dice che neppure Lui è venuto per giudicare, ma per perdonare, giacché la nostra salvezza dipende dall’amore verso di noi e non può discendere da un impossibile giudizio positivo sul nostro operare. Pensiamo anche a quante volte, nelle nostre piccole comunità, giudichiamo il comportamento altrui in base all’orientamento sessuale, all’orientamento politico se non addirittura al colore della pelle. Noi stessi, con questi atteggiamenti andiamo a creare categorie di persone, categorie che esistono solo nelle nostre teste, ma che scavano solchi nella comunità. Come crediamo sia “giudicato” questo modo di fare da chi invece può giudicare le nostre vite?

Vorrei concludere lasciandoci con un concetto piuttosto chiaro: nessuno di noi ha vita o comportamenti tali da essere approvati dal Signore; non a caso ogni domenica, parte integrante della nostra Liturgia è la confessione di peccato. Partendo da questo dato di fatto insieme al dato evangelico che tutti gli esseri umani hanno pari dignità di fronte al Signore vediamo come una risposta di amore, di comprensione fraterna può essere l’unica possibile, di sincero abbraccio verso la sorella o il fratello che incontriamo o che, magari, andiamo a trovare se non può muoversi.

Che il Signore voglia illuminarci con la Sua infinita bontà.

Amen.

Niccola Garagunis

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