Lettera scritta nel marzo 1884 dal pastore Giovanni Ribetti al Ministro dell'Interno e Presidente del Consiglio dei Ministri Agostino Depretis, nella quale si narra l'episodio dell'aggressione dei "socialisti" alla riunione di culto del 19 marzo 1884.

L'originale di Ribetti, scritto a mano, è stato trascritto da Giorgio Barsotti.


A Sua Eccellenza il Signor Commendatore Agostino Depretis,
Ministro dell'Interno e Presidente del Consiglio dei Ministri
Roma

Eccellenza,

Una scena di selvaggia intolleranza successe ieri sera a Pisa, nel locale che la Chiesa Evangelica Valdese inaugurò il 10 Febbraio scorso, nel Lung'Arno Mediceo. In quella circostanza, tenni davanti ad un’Assemblea numerosissima un discorso sulle parole di Cristo: “Dio è spirito perciò conviene che coloro che l'adorano, l'adorino in ispirito e verità” (Ev. di S. G. cap. IV, v. 24).

Alcune persone si fecero lecito d'interrompere la mia predica coi loro schiamazzi e picchiando contro una porta. Un individuo che (secondo ciò che mi fu detto) fu più volte in carcere, sentendomi nominare Gesù Cristo, esclamò: “Non abbiamo che fare con Cristo, siamo Atei, disputiamo anche col Padre Eterno”.

D'allora in poi, quasi tutte le radunanze che tenni in quel locale - la Domenica ed il Mercoledì di ogni settimana, alle 7 pomeridiane, - furono più o meno disturbate dalla attitudine provocante ed insolente e dalle grida di quei perturbatori.

Credetti, al principio, che questi fossero clericali, invece si piccano d’essere socialisti, benché molti fra loro, secondo me, non sappiano in che consiste il socialismo, del quale, del resto, non ho mai parlato qui nelle radunanze evangeliche.

Benché io non ricorra volentieri alla polizia per chiederle protezione e aiuto, credetti dover aderire al desiderio dì alcuni miei correligionari, che mi pregarono dì farlo, onde poter condurre, senza timore, le loro signore al culto.

Ieri mattina adunque scrissi al signor Inspettore di Pubblica Sicurezza la lettera qui acclusa che consegnai, colle mie proprie mani, alle 9 antimeridiane, al suo usciere pregandolo di portarla subito al suo Superiore. Persuaso che il signor Inspettore, avvertito dalla mia lettera, avrebbe inviato ieri sera alcune guardie per far rispettare il culto evangelico, dissi ai miei uditori che potevano venire alla conferenza senza timore anche colle loro famiglie. Difatti v'intervennero in gran numero.

La vasta sala era gremita, anche più del solito, di uditori, gli uni seduti e gli altri in piedi. Predicai sopra i versetti 9 e 13 del Capitolo III della Genesi. Tutto ad un tratto, si sente un gran rumore, alcuni individui picchiano penso se con un martello, o con un sasso, contro le porte del locale che teniamo sempre chiuse, le quali mettono sulla via dei Rigattieri. Dalla folla che sta in piedi, vicino alla porta che riesce nel Lung'Arno, si sente un rumore che va crescendo. Invano il custode prega gentilmente si faccia silenzio, invano alzo la voce e faccio appello al buon senso degli schiamazzatori, e li prego di rispettare la libertà religiosa. Alcuni miei amici si alzano per pregare i tumultuanti di tacere. Li supplico di mettersi a sedere e di essere calmi. Continuo alla meglio il mio discorso, malgrado il chiasso, e gli insulti che mi scagliano gli individui che stanno in piedi all'ingresso della sala. Tutto ad un tratto, i perturbatori si avanzano minacciosi, in massa serrata verso la piattaforma sulla quale trovasi il mio banco. Mia moglie e la mia bambina dì 15 anni, temendo che mi si faccia del male, vengono coraggiosamente accanto a me, l'una alla mia destra e l'altra alla mia sinistra.

Parecchi miei amici e correligionari, sia esteri che italiani, le imitano e mi circondano. Frattanto, la folla degli schiamazzatori è giunta davanti al mio banco. Sono per lo più giovani operai, i quali non vogliono più ch'io predichi. Secondo loro, ho insultato, nelle mie conferenze, i socialisti. Alcuni tengono un linguaggio intollerante, e violento, ma più o meno decente; altri m'insultano con parole da trivio, e mi fan vedere i loro pugni chiusi, coll'espressione dell'ira la più feroce. Alcuni gridano: “Spara! spara! bruccialo!” Circondato da pochi amici, dovetti far fronte, durante tre quarti d'ora circa, a quei furiosi, i quali non ardivano mettermi le mani addosso perché, come mi disse uno di loro, credevano che avessi un revolver in tasca.

Una signora svizzera che passa l'invero a Pisa colla sua famiglia, poté uscire ed andò a cercare le guardie. Ne trovò due che passeggiavano sulla Piazza dei Banchi. Essa disse loro che i miei correligionari ed io eravamo assediati nel locale del culto da un branco di fanatici, ma essi risposero (ciò non era vero) che tutto era finito e non si mossero. Essa ne incontrò due altre sul Lung'Arno Mediceo, vicino al locale ma anche queste non vollero entrare. Frattanto il tumulto aumentava. Alcuni sedicenti socialisti rovesciarono le seggiole e cominciarono a spengere il gas. Avevano di già smorzato parecchie fiaccole, allorquando una donna che era venuta al culto col suo bambino, spaventata, gridò in faccia ad uno che stava per smorzare una fiaccola: "Canaglia!" Questi alzò la mano per darle uno schiaffo che essa poté fortunatamente evitare.

Se in quel momento, quando tutte le fiaccole dovevano essere spente, non fossero giunti alcuni carabinieri, chi sa qual dramma sanguinoso sarebbe successo! Quando videro i carabinieri, i nostri assediatori si dileguarono e potemmo finalmente, i miei amici ed io, uscire e ritornare alle nostre case, seguiti, durante qualche tempo, da alcuni malandrini, che sembravano poco disposti a lasciarci in pace. Poco dopo, vennero da me un delegato e due carabinieri, per domandare qualche informazione sull'accaduto. Un carabiniere volle sapere il lesto del mio discorso e lo notò su suo taccuino.

Questa mattina il custode mi portò un piccolo cartoccio, simile a quelli dei confettieri, ch'egli trovò vicino alla mia seggiola, sulla piattaforma. Lo pregai di portarlo al Signor Inspettore di Pubblica Sicurezza. E' possibile che quel cartoccio contenga la spiegazione delle parole: "Spara! spara! bruccialo!" come è possibile che non contenga altro che confetti.

Ed ora. Eccellenza, i miei correligionari sia esteri che italiani ed io, la preghiamo di avere la gentilezza di dare ai suoi dipendenti gli ordini opportuni affinché il culto evangelico, in questa città, sia tutelato e rispettato conformemente alle leggi.

Aggradisca, Eccellenza, i sensi della considerazione distintissima degli Evangelici di Pisa e particolarmente del suo umilissimo e devotissimo servo,

 

Giovanni Ribetti
Ministro Evangelico Valdese

 

 

Nota in calce:

"Favorisca scrivermi quanto prima se ha la certezza ch’io possa tenere la mia conferenza Domenica prossima".

G. R.

 

*****************************************************************************

NOTE E OSSERVAZIONI: quando Ribetti scrive “in quella circostanza”, si riferisce alla sera del 10 Febbraio 1884, quando fu inaugurato il locale.

La scena di “di selvaggia intolleranza”narrata ebbe luogo, invece, la sera del 19 Marzo 1884.

 

This website is hosted Green - checked by thegreenwebfoundation.org

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.