L’uomo, nato di donna, vive pochi giorni,
ed è sazio d’affanni.
Spunta come un fiore, poi è reciso;
fugge come un’ombra, e non dura.
E sopra un essere così, tu tieni gli occhi aperti
e mi fai comparire con te in giudizio!

(Giobbe 14, 1 – 3)

… ma quando giunse la pienezza del tempo,
Dio mandò suo Figlio,
nato da donna, …

(Galati 4, 4)

 

Care sorelle, cari fratelli,

ogni anno ci prepariamo a festeggiare il Natale e ogni anno questa festa con i suoi preparativi mi mette in crisi. Quello che mi mette in crisi è il fatto che la festa della fede cristiana è diventata una festa totalmente secolarizzata. Nel rumore dell’orgia del consumismo che circonda questa festa, le voci che cercano di parlare del vero significato della festa si perdono; nel profumo dolciastro del buonismo natalizio, si perde la dimensione drammatica del messaggio di Natale, cioè l’annuncio di salvezza a un’umanità finita in una condizione insalvabile. Il Figlio di Dio che nasce in una stalla o una grotta, alla periferia di Betlemme, risposta estrema di Dio alla crisi dell’umanità, è sostituito da Babbo Natale che porta i regali e, secondo le leggi del mercato, dovrebbe portare ogni anno dei regali più costosi, e non si sa neanche più per quale motivo li debba portare. Poveraccio, non ha un mestiere facile in questo momento di crisi economica.

Natale è, per la fede cristiana, una festa molto seria. La gioia del Natale è la gioia del sollievo che il pericolo di morte è passato, la tragedia evitata, la luce entrata nelle tenebre. Giobbe, l’uomo nato di donna, incontra il Figlio di Dio, nato di donna, l’uomo schiacciato dall’ira di Dio incontra il suo Salvatore. E non si incontrano a metà strada tra la terra ed il cielo, tra la valle di lacrime e il Regno di Dio, ma si incontrano nell’essere nati di donna.

Ogni essere umano è nato di donna. Sono le madri che partoriscono i figli e le figlie. Ma la formulazione esprime qualcosa di particolare, sia nelle parole di Giobbe, sia nella formulazione della Lettera ai Galati. Giobbe stesso offre una spiegazione: nato di donne significa entrare nella vita attraverso l’impurità, e non perché le donne sono impure di per sé, ma perché il parto rende impuri la madre e il neonato. “Impuro” non è un giudizio morale, ma indica un pericolo per la collettività, nel caso della donna che ha appena partorito, il rischio di morte al quale il parto espone la madre e il bambino. Nato di donna esprime la fragilità, la precarietà della vita della persona umana.

Ma ci potrebbe essere anche un altro significato. Normalmente i figli hanno una madre e un padre. Ma nel “nato di donna” il padre non c’è. Sono le donne che partoriscono i figli, ma è il padre che, in una culturale patriarcale, dà al figlio il suo posto nella genealogia, nella storia della famiglia, nella collettività della tribù o del popolo. Per Giobbe, nella sua sofferenza, i padri, il posto nella collettività, il ruolo nella società, non hanno più nessuna importanza, lui è soltanto più uomo nato di donna. Il Figlio di Dio non ha un padre umano che lo leghi alla o lo imprigioni nella storia del suo popolo, in particolare nella storia della disubbidienza, è soltanto “nato di donna” e come tale è il prototipo dell’”uomo nuovo” che l’incarnazione del Figlio di Dio inaugura.

Comunque, nell’essere nati di donna, Giobbe, l’essere umano con la sua vita piena di affanni e sofferenze, e il Figlio di Dio si incrociano e si scambiano il destino: il Figlio di Dio prende su di sé le conseguenze della storia della disubbidienza umana, una vita che finisce in sofferenze e morte, affinché Giobbe possa diventare l’uomo nuovo, libero da disubbidienza e morte, libero per muoversi nello spazio della grazia di Dio.

La gioia di Natale è la gioia di Giobbe che dal tunnel buio della morte esce alla luce della vita, dal vicolo cieco del giudizio che finisce contro il muro della condanna, nello spazio aperto della grazia. Mi piacerebbe molto poter vivere il Natale non come una festa che noi ci prepariamo, ma come una festa che il Signore ha preparato per noi.


Klaus Langeneck 

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